Il 1° luglio si celebra l’indipendenza del Burundi, ottenuta nel 1962.
Il periodo della decolonizzazione del Paese, iniziato attorno al 1950, deve essere considerato all’interno di un contesto più generale che coinvolge l’indipendenza di tutto il continente africano.

La decolonizzazione del Burundi è stata molto influenzata sia dagli avvenimenti nei paesi vicini sia dalle politiche attuate dal Belgio, il paese dominatore.

Il primo Paese a raggiungere l’indipendenza fu il Congo nel giugno del 1960 attraverso vicende molto tumultuose: questo accadimento – così come altri – come la rivoluzione sociale hutu avvenuta in Ruanda nel 1959 e il conseguente insediamento di un regime repubblicano nel 1961, sono tutti avvenimenti che hanno avuto un grande peso per le evoluzioni interne al Burundi.

Le prime riforme per la decolonizzazione

L’ONU, divenuto allora il primo paladino dell’anti-colonialismo – così come di altre questioni globali come le indipendenze dei Paesi asiatici e la guerra fredda – iniziò, a partire dal 1946, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, una vigilanza molto accurata sulle politiche coloniali del Belgio e cominciò poco a poco ad indicare dei nuovi orientamenti da seguire.

Nel novembre del 1959 fu firmata una Dichiarazione da parte del governo belga che definiva le grandi linee delle riforme da attuare nei domini coloniali.
Secondo queste nuovi orientamenti l’intento era quello di dare maggiori responsabilità alle popolazioni locali del Ruanda-Urundi.

A questa dichiarazione fecero seguito delle procedure di applicazione legale attuate nei successivi mesi di dicembre e gennaio con il Décret intérimaire sur l’orgnanisation politique au Ruanda-Urundi et Arrete-Royal intérimaire.

Le riforme comportavano:

  • L’africanizzazione delle figure dirigenziali, quindi la scomparsa del doppio sistema d’amministrazione europeo e locale
  • Lo smantellamento delle vigenti circoscrizioni, con la creazione al loro posto di comuni e province con delle proprie unità amministrative
  • Il principio della distribuzione del potere attraverso un regolare sistema elettorale, con la creazione di un’Assemblea Nazionale come organo di rappresentanza.

Dalle elezioni comunali all’assassinio di Louis Rwagasore

Per consentire la competizione delle idee e delle persone, nel giugno del 1959 venne liberalizzato il diritto di associazione, evento che fece emergere più di una ventina di partiti politici, almeno fino al 1961.

Gli schieramenti erano suddivisibili in tre grandi filoni in concorrenza tra loro, ma tutti favorevoli al mantenimento della monarchia.

I partiti “nazionalisti”

Fazioni definibili anche come indipendentiste, visto che tutti i partiti erano accomunati dall’amore per la loro nazione, reclamavano la dipartita del Belgio e l’immediata indipendenza.
A capo di questo schieramento c’era l’Uprona (Union pour le progré national), un partito fortemente avversato dalle autorità coloniali sia per le sue rivendicazioni sia per i suoi legami con i vicini partiti comunisti come il MNC (Mouvement nationaliste congolais) o il Tanu (Tanganika Africa National Union).
L’Uprona poteva contare su numerosi possibili leader, tra questi uno dei principali era il principe Louis Rwagasore

I partiti “democratici”

Erano i partiti che facevano riferimento al Partito democratico cristiano (PDC), diretto da Jean-Baptiste Ntidendereza, figlio di un altro leader molto conosciuto durante l’epoca coloniale, Pierre Baranyanka.
Forti del sostegno dell’amministrazione europea, il partito democratico reclamava l’ottenimento dell’indipendenza in modo più ragionato attraverso l’aiuto dello stesso Belgio, con l’idea di procedere con più cautela.

I partiti “popolari”

Africa e indipendenza.

Erano i movimenti che reclamavano essi stessi una loro preparazione per l’indipendenza, ma al tempo stesso desideravano un profondo cambiamento negli aspetti ‘feudali‘ dell’organizzazione del regno affinchè anche la parte più povera della popolazione potesse essere considerata.
Il principale partito rappresentante di questa tendenza era il Partito del Popolo (PP), spesso però qualificato come anacronistico perchè molto pro-hutu.

I partiti democratici e popolari si raggrupparono in un “Fronte Comune” ed uscirono vincitori dalle elezioni comunali tenutesi alla fine del 1960, nel corso delle quali il principe Rwagasore venne messo agli arresti domiciliari e la maggior parte dei partigiani dell’Uprona neutralizzata.
Fu così che l’anno successivo, il 18 settembre del 1961 fu l’Uprona a raccogliere la quasi totalità dei seggi dei deputati dell’Assemblea Nazionale con 58 preferenze su 64 in uno scrutinio svoltosi sotto il controllo dell’ONU.

Il principe Rwagasore fu nominato Primo Ministro del primo governo burundese incaricato di portare il Paese (divento una monarchia costituzionale) verso l’indipendenza.
Purtroppo, pochi giorni dopo, il 13 ottobre del 1961 fu assassinato con un colpo d’arma da fuoco, crimine comminato da Jean Baptiste Ntidendereza del PDC.

A questo punto, in Burundi, a livello politico, scoppia il caos: da un parte comincia una sorta di caccia alle streghe contro i partigiani del Fronte Comune e allo stesso tempo le rivalità interne all’Uprona si esasperano per la successione del principe Rwagasore.
Venne allora nominato come suo successore Andrè Muhriwa, uno dei grandi leader già messosi in mostra all’interno dell’Uprona.

I primi anni dell’indipendenza

L’1 gennaio del 1962 il Burundi, così come il Ruanda acquisirono la loro autonomia, prima di divenire indipendenti, separatamente, l’1 luglio del 1962.
Come capitale fu nominata Bujumbura che sino a quel momento era già la città principale del territorio del Ruanda-Urundi.

In seguito alla morte di Rwagasore il contesto politico che portò il Burundi all’indipendenza si poteva considerare abbastanza corrotto e malsano e le cose non sarebbero cambiate neanche negli anni successivi.
Presto, parallelamente alle rivalità inter-africane, a partire dal 1963, due gruppi iniziarono a rivaleggiare all’interno dell’Uprona, uno nazionalista tutsi, detto Casablanca e un movimento conservatore hutu, detto Monrovio e filo occidentale.

Negli anni successivi le tensioni etniche si aggravarono via vìa soprattutto a causa della situazione minoritaria degli Hutu all’interno degli ambienti dirigenziali e della paura suscitata nei Tutsi per colpa dei nuovi tragici avvenimenti accaduti in Ruwanda nel natale de 1963: la questione etnica divenne sempre più centrale all’interno dei dibattiti pubblici della società burundese.

La costituzione fu firmata nel 1962, redatta sulla falsariga di quella del Belgio: il re venne nominato monarca costituzionale lasciando il potere esecutivo al governo e quello legislativo al parlamento.

In seguito ai primi grandi massacri etnici avvenuto nel 1965, che videro una vigorosa repressione da parte dei tustsi verso dei tentavi falliti di colpo di stato da parte degli hutu, fu nominato Primo Ministro l’anziano segretario di Stato della difesa nazionale, il capitano Michel Micombero.
Il 28 novembre del 1966 lo stesso Micombero approfittando dell’assenza dell’allora re Ntare Ndizeye lo fece deporre e proclamò la Repubblica del Burundi di cui divenne il primo presidente il 28 novembre del 1966.

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