Dare dell’Africa una rappresentazione veritiera al massimo probabilmente non è possibile:
è un continente fatto di troppe luci, ombre, zone grigie, eccellenze e situazioni innegabilmente precarie.

Risulta molto difficile poterne dare una descrizione completa per la sua vastità, per la sua varietà e per la sua complessità.

Per un osservatore esterno, ad oggi, sentire parlare d’Africa significa passare attraverso il filtro dei mass media e della comunicazione che tendono quasi sempre a far vedere quello che in Africa non funziona.
Abbiamo l’inclinazione a ridurre il continente nero sia attraverso rappresentazioni molto contrastanti tra loro sia come lo specchio dell’occidente.

A volte vediamo l’Africa come primitiva e arretrata a volte come innocente e vittima, è sia quello che non vogliamo essere sia la terra della purezza, è sia il continente che deve essere salvato, sia un grande peso che va aiutato per poter diventare come noi.

La visione che ne abbiamo è molto parziale e spesso anche incorretta: percepiamo sempre l’Africa come una terra incapace di agire da sola e inadeguata per decidere per sé stessa.
Ciò ci dà un quadro in cui le relazioni tra l’Africa e il resto del mondo sono molto filtrate, per cui farcene un’idea più personale risulta complesso.

Proponiamo un piccolo elenco con alcune delle parole più comunemente associate all’Africa per darne una visione più aperta e veritiera e per conoscere meglio alcuni aspetti del grande continente nero.

Africa, etimologia

A quanto pare non si è ancora giunti ad un consenso generale che metta tutti d’accordo sull’etimologia del termine ‘Africa’, ma i primi ad usare questa parola per riferirsi a questa zona furono sicuramente i Romani.

Le più diffuse ipotesi sono:

  • Che il termine sia di origine greca e fosse usato per alludere ad una terra calda e ‘senza freddo’ (aphrike), così come riporta Leo Africanus nella Descrittione dell’Africa (1550);
  • Che il termine possa derivare dal berbero ifri, che vuol dire ‘grotta’ o dalle parole di origine fenicia friqi e pharika, che significano ‘cereali’ e ‘frutta’, in quanto l’Africa era il territorio rigoglioso da cui provenivano questi prodotti;
  • Secondo un’ipotesi più recente il termine deriverebbe da ‘Afri’, un popolo che viveva nell’odierna Tunisia e che fu il primo con cui i Romani sarebbero venuti in contatto quando arrivarono nel continente.

Al di là dell’incerta origine della parola, c’è una cosa che tutte queste ipotesi hanno in comune: il termine ‘Africa’ è stato battezzato al di fuori del continente ed ha un’origine esterna.

Con il XV secolo iniziò il periodo dell’esportazione di molti africani che dai loro porti venivano portati in America per lo più per diventare schiavi.

È stato anche durante le tratte per attraversare l’Atlantico, nel periodo della diaspora, che nacque una nuova rete di relazioni sociali tra gli espatriati, che, probabilmente sentendosi accomunati da una simile condizione di sfruttamento, iniziarono a provare il sentimento di venire tutti da una terra comune, per cui il termine ‘Africa’ iniziò ad assumere una nuova valenze identitaria e condivisa.

Gli schiavi e i loro discendenti, definendosi africani, sentivano di possedere un’identità e una cultura simile nel mondo.

Il termine ‘Africa’ oggi ha trovato dei precisi riferimenti culturali e geografici e una forte valenza storica, tuttavia presenta ancora delle criticità.

Non è affatto insolita la tendenza a riferirsi all’Africa come fosse un’unica grande regione con un’unica grande storia alle spalle, attraverso una forte inclinazione alla generalizzazione.
L’Africa però non è un unico grande Stato, ma è costituita da 55 diversi Paesi ben distinti.

Questa tendenza ha generato il problema che la scrittrice nigeriana Chimamaanda Ngozi Adixhie ha definito come single story, ovvero una narrazione univoca che, partendo da una situazione specifica viene spesso generalizzata a tutta l’Africa senza fare distinzioni. In più, di solito, queste generalizzazioni vengono fatte con sfumature molto negative.

Rispetto alla complessità del continente è quindi molto riduttivo e ingannevole riferirsi all’Africa come ad un unico grande Stato: è importante saper distinguere quando il termine ha una valenza più generale e quando invece sarebbe opportuno specificare a quale Paese o a quali zone ci si riferisce.

Afrottimismo e afropessimismo.

Afropessimismo e Afrottimismo

La Afropessimismo e l’Afrottimismo sono due visoni dell’Africa completamente opposte.
La prima rappresenta l’Africa in modo molto negativo, anche catastrofico talvolta, in cui la realtà e il futuro del continente sono visti in modo molto sfiduciato.
La seconda vede invece il contenente in modo positivo e ottimistico, con una grande fiducia verso un futuro sempre migliore.

In entrambi i casi si tratta di lenti interpretative usate all’esterno per parlare dell’Africa che hanno ricadute molto significative sul modo di percepire il continente e sulle sue relazioni con il mondo esterno.

A partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, la percezione che si è avuta dell’Africa è stata un’alternanza di visioni ottimistiche e pessimistiche.
Ci sono stati una serie di eventi che hanno contribuito ad una rappresentazione del continente con sfumature via via opposte.

Con la fine del colonialismo dominava una visione ottimistica e di rinascita del continente, avviato verso una nuova prosperità.
Più tardi le crisi petrolifere degli anni ’70 hanno messo in ginocchio molte economie dei Paesi africani provocandone un brusco arresto e una grande fragilità di base.

Alcune tragedie umanitarie hanno poi contribuito al radicamento di un immaginario collettivo che vedeva l’Africa sempre in modo negativo.

Ci sono stati in seguito alcuni eventi mediatici molto impattanti per la storia del continente.
I grandi concerti organizzati dalle star della musica negli anni ’80 da un lato hanno fatto crescere l’interesse per i problemi del continente, ma dall’altro ne hanno rafforzato una visione sempre in negativo, quando le implicazioni sarebbero ben più ampie.

Il 13 maggio del 2000 l’Economist titolava The Hopless Continent, ‘Il continente senza speranza’, riferendosi alla Sierra Leone, ma finendo per creare una rappresentazione di povertà e conflittualità estesa a tutto il continente.

Negli ultimi anni si è tornati a parlare di afrottimismo, soprattutto grazie al rapido sviluppo tecnologico che si è avuto in alcuni settori, grazie alla diffusione delle energie alternative e alla crescita economica di alcuni Paesi.
Tra il 2011 e il 2013 sempre l’Economist e il Time sono usciti con copertine titolate Africa Rising e Africa Aspiring, ribaltandone la visione.

Che si tratti di fatti e realtà esistenti per davvero o meno, il pericolo dell’afropessimismo e dell’afrottimismo è sempre lo stesso: creare un’unica grande storia a senso unico per il continente.

Con l’afropessimismo attraverso accezioni sempre negative e una generica convinzione che l’Africa abbia sempre qualcosa di sbagliato e anomalo, in cui il mondo occidentale è sempre visto in senso positivo e quello africano in senso negativo.

Con l’afrottimismo il rischio è di fare grandi generalizzazioni estese a tutto il continente rischiando di mettere nell’ombra i problemi di povertà e di mancanza di accesso ai servizi essenziali che in molte zone del continente permangono tuttora.

Aids/Hiv in Africa

Il continente africano è ampiamente quello più colpito dalla pandemia dell’AIDS.
Nell’Africa sub-sahariana si calcola che ci siano oltre 25 milioni di sieropositivi, con una prevalenza nella zona australe.

Circa il 70% delle persone adulte colpite da HIV si trova in Africa, mentre la percentuale sale ancora fino all’80% se parliamo di bambini.
La categoria più a rischio è quella delle giovani donne, ma anche tra i più giovani e gli adolescenti il tasso di infezione è molto alto.

Sono molte le conseguenze negative causate dalla diffusione dell’AIDS: oltre alla sofferenza di chi ne è colpito, si deve aggiungere il dolore delle famiglie, lo stigma sociale che talvolta colpisce chi ne è affetto e l’elevato numero di orfani.
Ci sono conseguenze anche su altri piani: il costo economico da pagare è molto grande sia per la spesa sanitaria sia per la perdita di produttività.

Al di là dell’origine del virus, ancora non del tutto chiarita, è stato negli anni ottanta che avvenne l’esplosione della pandemia e con una rapidità considerevole, tanto che nel giro di pochi anni più del 10% della popolazione di alcuni Paesi africani ne era affetta.
In questi Paesi le conseguenze sono state funeste con un forte aumento della mortalità infantile, una grande destrutturazione sociale ed un collasso dei servizi socio-sanitari già precari.

L’OMS riconosce come una delle cause principali della diffusione dell’HIV sia la povertà, che limita duramente la libertà delle persone e costringe molte donne, in mancanza di altre fonti di reddito, a mercificare il proprio corpo per ottenere una fonte di reddito con cui sopravvivere.

La storia dell’AIDS/HIV in Africa è caratterizzata da un’enorme sofferenza, ma fortunatamente anche da grandi miglioramenti e importanti successi raggiunti.
Grazie all’introduzione di farmaci antiretrovirali, ora accessibili senza grosse difficoltà, e alle campagne di prevenzione, negli ultimi decenni la situazione è sicuramente molto migliorata, per fortuna.

Molti Paesi dell’area sub-sahariana hanno ridotto drasticamente la percentuale della popolazione affetta dal virus avviando un percorso in cui il numero dei contagi è sempre in diminuzione.

Grande eccezione è il Sudafrica dove, invece, rispetto alla fine degli anni ‘90, con il 12,6% della popolazione colpita, si è passati al 19% attuale.
Il caso sudafricano è stato comunque emblematico anche per la lotta sociale per il riconoscimento dei diritti dei malati, con ripercussioni concrete a livello globale.

Anche in Sudafrica oggi i farmaci antiretrovirali sono accessibili facilmente per tutti, con un effetto positivo a cascata su molte altre zone del mondo.

In sintesi, non si può dire che in Africa ad oggi la lotta contro l’AIDS/HIV sia vinta, anzi, però in molti casi il trend è stato decisamente invertito raggiungendo traguardi che, a distanza di anni, per molti osservatori sembravano impensabili.

Le lingue in Africa

Anche se fare il calcolo esatto non è possibile, si stima che in Africa si parlino tra le 1000 e le 2000 lingue, circa un terzo di quelle parlate in tutto il mondo. In alcuni casi si tratta di lingue che hanno poche migliaia di parlanti, in altri di milioni di persone.

Per la diffusione e catalogazione delle lingue parlate in Africa un ruolo fondamentale è stato svolto dai missionari europei durante le prime colonizzazioni.
Grazie all’aiuto di catechisti locali o di convertiti, iniziarono una grande opera di trascrizione delle lingue africane, redigendo grammatiche e vocabolari, necessari per tradurre la Bibbia negli idiomi del luogo.

La maggior parte delle società africane non aveva la scrittura, basando la trasmissione culturale solo sulla lingua parlata.
Il grande lavoro svolto dai missionari portò inevitabilmente ad un processo di trasformazione e di selezione delle lingue parlate in Africa.

In alcuni casi, ad esempio, alcune lingue non furono ritenute abbastanza complesse per poter spiegare i concetti del Cristianesimo e sono state perse, in altri casi, nella stessa area, più lingue sono state conservate per iscritto.

Emblematico è il caso del Sudafrica dove sono state mantenuti ben 11 idiomi parlati localmente che oggi sono tutte lingue ufficiali del Paese.

Tra queste una delle più conosciute è l’afrikaans, lingua nata come evoluzione e riadattamento dell’olandese parlato dai coloni insediati nell’area nel XVII secolo che ha cominciato ad assumere delle caratteristiche proprie e ben definite nel secolo successivo. Oggi è la terza lingua più parlata nel Paese ed è la prima lingua sia della minoranza bianca che della popolazione coloured.

Oggi la maggior parte dei Paesi africani ha mantenuto come lingue ufficiali per l’amministrazione e l’istruzione le lingue europee diffusesi nel periodo coloniale. Solo un numero molto più piccolo, in questi settori, ha mantenuto una lingua africana.

Le lingue europee più parlate in Africa sono l’inglese, il francese e il portoghese che generalmente vengono usate dalla popolazione come seconda o terza lingua.

Dopo l’arabo, la lingua africana più parlata nel continente è lo swahili, una lingua di origine bantu.  È la lingua ufficiale in molti Paesi dell’Africa orientale e centrale per circa 15 milioni di persone ed è la seconda o terza lingua per altri 50-100 milioni di africani dell’area sub-sahariana.

Una volta raggiunta la completa indipendenza in Africa è nato un intenso dibattito su quali lingue dovessero utilizzare gli intellettuali e gli scrittori locali, se quelle europee o quelle africane.

Per un filone di pensiero le lingue europee sono uno strumento molto efficace per farsi conoscere e per farsi leggere da un numero maggiore di persone. Inoltre, nel caso dell’inglese ad esempio, spesso si tratta di un inglese che è trasformato e riadattato alle esigenze significative degli autori africani attraverso un filtro espressivo messo da loro.

Per certi autori alcune lingue africane sarebbero addirittura una specie di libera invenzione dei primi missionari durante la loro opera di trascrizione, non conserverebbero dunque nulla di così autentico dello spirito africano. Largo quindi alle lingue europee, ben strutturate, ricche e complesse, in grado di esprimere la visione africana attraverso la lente messa dall’autore.

C’è una seconda linea di pensiero per cui invece l’egemonia culturale occidentale e la condizione di svantaggio dell’Africa si sono create anche a causa dell’imposizione delle lingue europee nel periodo coloniale, fatto che avrebbe provocato uno snaturamento del modo di pensare. Gli autori africani dovrebbero così cercare di celebrare ed elevare le loro lingue attraverso opere pregevoli come hanno fatto molti acclamati scrittori e autori europei con le loro.

Pitture Africa.

Arte africana

Parlare di arte africana significa riferirsi ad una sfera molto ampia che comprende la molteplicità delle espressioni artistiche che sono nate nel continente e che sono la manifestazione della ricchezza e della varietà culturale che contraddistingue le società africane.

Le prime produzioni artistiche di rilievo fatte in Africa erano per la maggior parte realizzate con scopi rituali, religiosi e spirituali. Queste opere però non erano create da persone che si definivano genericamente africane, quanto da artisti che piuttosto sentivano di appartenere a specifici contesti sociali, culturali e geografici con cui si identificavano.

Le prime opere erano spesso maschere e sculture, realizzate per essere usate in cerimonie religiose, in riti di iniziazione, nei rituali legati alla nascita e alla fecondità, nelle cerimonie legate alla morte e nei riti propiziatori.
I manufatti realizzati di solito erano raffigurazioni di antenati o di divinità che servivano per creare un legame con il mondo sovrannaturale, con l’aldilà o con la sfera ancestrale.

A partire dal XV secolo i primi europei iniziarono a scendere sotto il Sahara e vennero in contatto con le popolazioni locali e di conseguenza con tutta la loro produzione culturale e materiale.
Le produzioni artistiche africane di solito venivano interpretate come espressioni attinenti alla spiritualità, alla natura, alla morte, al sesso o alla paura.

I primi manufatti di arte africana trovati venivano percepiti come opera di livello basso e piuttosto rozzo. Era considerata arte grezza e incompiuta, priva di un proprio valore estetico, che pertanto non era degna di trovare spazio nelle gallerie d’arte o nei musei, ma solo nelle collezioni etnografiche.

In quel periodo l’arte africana fu complessivamente derubricata come arte di scarso valore e come il prodotto di una capacità espressiva tipica dell’età infantile.

Quando gli europei trovavano sculture, vasi, opere d’arte o strutture architettoniche di un livello superiore a quello che si attendevano da una società africana, ne veniva di solito data un’interpretazione ad hoc classificandoli immancabilmente come anomalie.

Ne sono esempi le placche di ottone che decoravano il palazzo del regno del Benin, nell’attuale Nigeria e saccheggiate dagli inglesi, il cui alto grado di raffinatezza venne interpretato come fatto dovuto all’influenza portoghese in quell’aerea. O le sculture di Ife, delle teste e dei busti realizzati tra il XIII e il XIV in un’area sempre nell’attuale Nigeria e riscoperte nel 1938. Per queste splendide sculture, l’antropologo tedesco Leo Frobenius diede una spiegazione piuttosto fantasiosa trovandone l’origine in una alquanto immaginaria colonia greca o addirittura come provenienti da Atlantide, isola che si sarebbe trovata non lontana da lì, al largo della costa occidentale dell’Africa.

È con le avanguardie artistiche europee dell’inizio del XX secolo che si iniziò ad avere una rivalutazione dell’arte africana.
Si cominciò ad interpretarla come manifestazione di semplicità, essenzialità e di una vicinanza con la natura che l’uomo occidentale aveva ormai perso. Non più arretrata e grossolana quindi, ma sintetica e ricca di significato.

Gli esponenti delle avanguardie europee iniziarono ad usare nelle loro opere elementi dell’arte africana, principalmente perché desideravano recuperare un’estetica più essenziale e ‘primitiva’, libera dalle contaminazioni delle società consumiste e libera dagli eccessivi accademismi.

In realtà gli artisti europee non erano particolarmente interessati ai luoghi in cui l’arte africana era prodotta o all’identità dei suoi creatori: le opere erano considerate più come espressione di identità e sensibilità collettive.

Sebbene quindi, anche se in una chiave un po’diversa, l’approccio delle avanguardie europee non era libero da molti stereotipi e dai vecchi pregiudizi che consideravano l’arte africana come primitiva e senza tempo, di sicuro ebbe il pregio di renderla produttiva nel contesto occidentale.

Le avanguardie, con la rivisitazione delle opere africane, ebbero anche il merito di rinnovare i modelli di espressione artistica occidentale e di avviare un processo generale di rivalutazione e di diffusione delle modalità espressive del continente nero.

Oggi gli artisti africani hanno acquisto un ruolo di rilievo nella scena artistica mondiale e le loro opere vengono mostrate nelle maggiori esposizioni internazionali. Anche la loro autoralità  e la loro identità trovano pieno riconoscimento nel mondo del collezionismo e del mercato dell’arte.

L’arte africana odierna spessa rivisita episodi molti significativi per la storia del continente come il colonialismo, il consumismo, la tratta degli schiavi e il divario tra nord e sud.

Un elemento di dibattito attuale è che la gran parte delle opere d’arte africane si trova fuori dal continente. È in atto un acceso dibattito sulla restituzione di questi manufatti che per la maggior parte sono stati portati via durante il periodo coloniale, spesso frutto di saccheggi e spoliazioni da parte degli europei.

Nonostante tantissime opere siano ad oggi fuori dal continente, quasi ogni Stato africano ha un museo nazionale in cui sono esposte opere realizzate da artisti locali.
Recentemente, in Senegal e in Sudafrica, sono anche stati inaugurati alcuni nuovi grandi musei che celebrano l’arte africana nelle sue molteplicità espressive.

Conclusioni

Queste sono solo alcune delle parole, delle idee e dei concetti che comunemente vengono associati all’Africa: conoscere meglio il continente significa saper soppesare con più cognizione le definizioni che gli vengono date, significa saper come distinguere quando non si sta parlando dell’Africa come un tutt’uno ma solo di una delle tante e variegate facce che la compongono e significa imparare a valutare con più consapevolezza tutte le affermazioni che vengono fatte sulla sua condizione.

fonti
Contenuti tratti da:

“Parlare d’Africa
50 parole chiave”
Luca Jourdan, Karin Pallaver

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